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Adottare l’AI nel customer care: come superare timori e resistenza al cambiamento



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Le aziende riconoscono il potenziale dell’AI nel customer care, ma si scontrano con alcune resistenze, tra cui i timori legati all’affidabilità delle soluzioni e la difficoltà di gestire il cambiamento. Vediamo come superarle, con il supporto di Esker

Pubblicato il 5 giu 2025



ai customer care

Secondo una recente indagine di Gartner, il 64% dei consumatori preferirebbe che le aziende non usassero l’Intelligenza Artificiale (AI) nei servizi di customer care. Ancor più significativo è il fatto che oltre la metà (53%) degli intervistati sarebbe disposto a passare a un concorrente se scoprisse che l’azienda con cui interagisce sta per integrare l’AI nel servizio clienti.

C’è ancora diffidenza nei confronti dell’AI

Dati come quelli di Gartner raccontano più di una semplice diffidenza tecnologica poiché evidenziano una frattura tra due esigenze. Da un lato, le aziende – spinte dall’urgenza di aumentare l’efficienza operativa e di potenziare l’esperienza del cliente – guardano all’AI come a una leva strategica per trasformare il customer service; dall’altro, i clienti temono che questa trasformazione possa tradursi in un peggioramento della qualità del supporto.

Ma da dove nasce questa diffidenza? Osservando il fenomeno dall’esterno, molti clienti associano ancora l’AI – in particolare quella conversazionale – a un passato recente in cui interagire con un bot significava entrare in un vicolo cieco: conversazioni macchinose, risposte standardizzate e, soprattutto, nessuna possibilità di escalation verso operatori umani. In quel periodo è nata l’idea dell’AI come barriera, non come abilitatrice di valore.

A ciò si sommano altre preoccupazioni. In primis, le aziende temono gli errori degli algoritmi di AI, un fenomeno reso celebre dalle allucinazioni degli LLM (Large Language Model), che possono fornire ai clienti informazioni errate e condizionare negativamente la brand image. Seguono i timori circa le ricadute occupazionali e la perdita di controllo sul dialogo tra il cliente e il brand; tutte perplessità legittime, senza dubbio, ma che sono figlie in molti casi di una scarsa consapevolezza di come le nuove tecnologie dovrebbero essere integrate nei flussi delle aziende.  

Come abbattere le barriere con un’AI “specializzata”, anche nel customer care 

Per adottare al meglio l’AI nel customer care, servono due strategie parallele. La prima, più tecnica, consiste nell’implementazione di soluzioni AI specializzate, basate su dataset aziendali per garantire risposte accurate e contestuali; la seconda, parimenti importante, riguarda un’adeguata gestione del cambiamento, che mira a coinvolgere le persone dalle prime fasi attraverso formazione mirata, comunicazione trasparente e percorsi di upskilling.

Partendo dal primo tema, secondo Riccardo Signori, Business Development Manager O2C di Esker, azienda leader nelle soluzioni innovative per la gestione e l’automazione dei processi aziendali, «un errore comune è proprio quello di non specializzare a sufficienza le soluzioni di AI dedicate al customer care, optando per un approccio ‘general purpose’ che potrebbe essere inefficace, costoso e rischioso. La strada vincente è la specializzazione, ovvero soluzioni AI che possono interagire con il cliente e altri sistemi, ma il cui fine resta uno: gestire al meglio uno specifico processo del customer care, ottimizzando efficienza e qualità dell’esperienza». 

Un esempio concreto?

Signori illustra la soluzione AI per il customer care che supporta la gestione degli ordini integrata nella piattaforma Esker, che fa perno su un mix di tecnologie avanzate per classificare i documenti ed estrarre automaticamente dati critici come numeri d’ordine e indirizzi di consegna da fonti non strutturate come email e allegati di vario tipo. Il sistema non solo rileva le informazioni, ma le valida e le trasferisce automaticamente verso CRM o altri sistemi aziendali. Il risultato è che gli operatori del customer service non perdono più tempo prezioso nell’evadere manualmente ogni riga d’ordine, potendo così dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto come la gestione delle richieste dei clienti, per le quali Esker offre soluzioni dedicate

Oltre alla specializzazione, diverse soluzioni tecniche permettono di rafforzare l’affidabilità dei sistemi AI. Nel caso dei modelli linguistici, laddove il problema sono le allucinazioni, la tecnica del Retrieval-Augmented Generation (RAG) permette agli agenti AI di interrogare in tempo reale knowledge base specializzate, garantendo risposte accurate e contestualmente rilevanti. A questo punto, diventa possibile realizzare agenti conversazionali specializzati nel risolvere determinati problemi con il massimo livello di efficacia.  

AI nel customer care, non solo tecnologia, serve costruire fiducia nel cambiamento

Gli ostacoli all’adozione diffusa dell’IA nel customer care dipendono anche dalla resistenza al cambiamento nei processi operativi consolidati. Anche chi già lavora quotidianamente con strumenti AI-based fatica ad abbracciare nuove modalità di lavoro, soprattutto quando l’AI richiede di ripensare i flussi esistenti e di sviluppare nuove competenze. 

«Superare queste resistenze – ci spiega Riccardo Signori – richiede un cambio di paradigma, che metta al centro il principio della ‘human augmentation’: l’intelligenza artificiale come strumento di potenziamento delle capacità umane. L’obiettivo non è stravolgere il lavoro delle persone, ma aiutarle a scoprire nuove potenzialità e modalità operative più efficaci. Questo processo richiede capacità, formazione continua e soprattutto un accompagnamento personalizzato per ogni ruolo e funzione». 

Anche quando l’AI viene riconosciuta come opportunità, la trasformazione organizzativa rimane dunque una sfida articolata. Secondo una ricerca OpinionWay del 2024, il 56% dei manager considera l’intelligenza artificiale uno strumento chiave per rinnovare il customer service, ma al tempo stesso è consapevole delle difficoltà connesse al cambiamento. Il fattore discriminante diventa quindi la capacità dell’organizzazione di orchestrare un change realmente efficace. 

L’idea di fondo deve essere quella di costruire il futuro tutti insieme, non limitarsi a comunicare le azioni intraprese per raggiungerlo. Ciò vuol dire, per prima cosa, coinvolgere attivamente clienti, dipendenti e partner nei processi decisionali e nell’implementazione dell’AI, creando uno spazio di ascolto e di co-progettazione. Ogni voce può infatti portare un contributo insostituibile:

  • il cliente definisce cosa significhi realmente “esperienza positiva”;
  • il dipendente conosce come nessun altro i flussi operativi e i nodi critici;
  • il partner tecnologico orienta le scelte verso ciò che l’AI può concretamente realizzare.  

Facilitare e accompagnare l’ingresso dell’AI nel customer care con il supporto dei partner tecnologici

Il partner tecnologico, in particolare, può giocare un ruolo strategico nel facilitare l’ingresso dell’AI nel customer care. Forte di esperienze maturate su progetti analoghi, sa che ogni azienda ha un proprio ritmo di trasformazione: c’è chi ha bisogno di acquisire competenze tecniche, chi deve familiarizzare con nuovi processi e chi trae beneficio da momenti di sperimentazione. Per questo, l’accompagnamento non può essere standardizzato: deve essere un processo modulare, adattabile e costruito su misura, capace di rispettare le specificità organizzative e culturali di ciascuna realtà.

Solo attraverso questo approccio l’adozione dell’AI si trasforma da imposizione tecnologica a progetto condiviso, capace di generare fiducia, partecipazione e risultati duraturi.

*Articolo realizzato in partnership con Esker

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